La minaccia di una rivoluzione nel calcio sta innescando una reazione unitaria dell’Europa, compatta nel condannare la scissione della neonata “Superlega”. Una “Supercompetizione” voluta da 12 tra i più ricchi club a discapito di tutte le altre squadre, di tante città, piccole e grandi, di comunità e soprattutto della tradizione. Un nuovo campionato limitato a 20 squadre in stile Nba americana, cui si accede non per meriti acquisiti sul campo, ma in base al peso economico. L’idea non piace a nessuno, se non a chi l’ha progettata. Contrarie le istituzioni, i tifosi, gli stessi calciatori.
“Il Governo sostiene le autorità calcistiche italiane ed europee per preservare le competizioni nazionali, i valori meritocratici e la funzione sociale dello sport», ha sottolineato il presidente del Consiglio, Mario Draghi.
I leader europei si sono mobilitati per sostenere la Uefa che proprio ieri ha presentato la riforma della Champions league che passa da 32 a 36 squadre. Non è bastato a fermare i ribelli della Superlega, capitanati dal presidente della Juventus Andrea Agnelli, dal madrileno Florenino Perez e da Ed Woodward del Manchester United.
In Inghilterra, dove sono arrivate sei adesioni di club alla nuova Superlega anche il Principe William, presidente onorario della federcalcio inglese, ha preso posizione. «Dobbiamo proteggere la comunità calcistica e i valori di concorrenza e correttezza che sono centrali. Condivido le preoccupazioni dei fan per la Superlega e i danni che rischia di causare al gioco che amiamo».
Intanto sono molte le società a chiedere l’esclusione dal campionato, anche immediata, di Inter, Milan e Juve in caso di formale adesione alla Superlega.