A dipingere il quadro ai limiti dell’agghiacciante è Renato Caiafa, reo confesso dell’omicidio del 18enne Arcangelo Correra. Un amico strettissimo, uno di famiglia, tanto che all’inizio i due erano stati erroneamente scambiati dalla stampa per imparentati. Dietro la morte insensata dell’adolescente, avvenuta all’alba di sabato 9 novembre in piazzetta Sedil Capuano ci sarebbe stata una sfida di gruppo. A far luce sulla dinamica dei fatti, il 19enne nel corso dell’interrogatorio davanti al gip del tribunale di Napoli. Tra i due giovani, e tra gli altri presenti, non correva cattivo sangue: niente astio, niente rancori, solo un gioco. La dinamica del branco, che fa sentire invincibili i suoi membri, avrebbe spinto Arcangelo a sfidare Renato. “Mi ha mostrato il petto e mi ha detto di sparare”, ha raccontato Caiafa nel corso dell’interrogatorio. Correra, evidentemete, era ignaro del fatto che l’amico impugnasse un’arma vera e non un giocattolo, come anche – fino a prova contraria – lo stesso 19enne. Intanto, l’autopsia eseguita ieri chiarirà qual è stata la traiettoria del proiettile che ha centrato Arcangelo in piena fronte, confermando o sconfessando il racconto di Caiafa. Il giovane, intanto, difeso dal penalista Giuseppe De Gregorio, resta in carcere: a condurre l’inchiesta, il pm Ciro Capasso, che al momento punta sulla pista dell’omicidio volontario, a cui aggiungere eventualmente l’aggravante del dolo.
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